Le piante carnivore … queste misteriose creature in via di estinzione

Le piante carnivore sono piante che ricavano il glucosio, indispensabile per la vita di ogni essere vivente, come qualsiasi pianta, tramite la fotosintesi clorofilliana.

Ma oltre a questo, nei millenni di evoluzione, hanno acquisito la capacità di attrarre, catturare e digerire insetti e piccoli animali.

Questa esigenza è nata dal fatto che le carnivore si sono dovute adattare alla vita in terreni estremamente avversi alla normale crescita di piante (le torbiere sono estremamente acide, povere di nutrimento e perennemente allagate). L’estrema acidità delle torbiere non permette lo sviluppo dei batteri azotofissatori e, quindi, l’azoto organico (che è essenziale per qualsiasi pianta e difatti è uno dei componenti principale di qualsiasi concime reperibile sul mercato) nelle torbiere è estremamente ridotto.

Non essendo disciolto nel terreno se non in minime quantità, le piante carnivore, durante l’evoluzione hanno quindi ridotto, fino a quasi perdere del tutto in alcune specie, la capacità di assorbimento per via radicale di Azoto, conservando però in buona parte la capacità di assorbire Ferro, Potassio, Fosforo, Magnesio ed altri elementi.

Questo significa che se aggiungiamo Azoto nel terreno di coltivazione, o più semplicemente le invasiamo in un terreno fertilizzato,tutto l’azoto resterà accumulato nel terreno, intossicando la pianta.

È inoltre scarsamente tollerata la presenza di alte quantità di calcio nel suolo, che tenderebbe ad innalzare il PH rendendo meno solubile e quindi meno assorbibile il Ferro per via radicale (indispensabile per la formazione della clorofilla). Ecco quindi spiegato, come vedremo più avanti, il motivo per il quale in coltivazione è consigliata l’annaffiatura con acqua da osmosi inversa o piovana.

Qualsiasi pianta, a parte alcuni rari casi, può assorbire nutrimenti anche tramite le foglie, per questo esistono i cosiddetti “concimi fogliari”, quindi le piante carnivore non hanno fatto nient’altro che specializzarsi fino all’estremo nell’assorbimento di nutrimenti tramite le foglie.

 Quello che distingue una pianta carnivora è la capacità di digerire la preda, difatti la difficoltà più grande sta nel riuscire ad estrapolare nutrimento da un insetto, una delle prede più comuni, che è avvolto da un esoscheletro di chitina, un polisaccaride estremamente resistente. Ecco che quindi le nostre amate piante carnivore hanno fatto diverse scelte evolutive: chi ha scelto di produrre enzimi (come Dionaea, tutte le Sarracenie tranne la purpurea, Pinguicula, Drosera, Drosophyllum, Nepenthes) e chi invece (come S. purpurea, Darlingtonia californica, molte Heliamphore e molte Byblis) si affida alla collaborazione di batteri simbionti.

Tutte le piante che producono enzimi digeriscono le prede in maniera molto simile tra loro: delle amilasi, specifici enzimi, perforano la corazza chitinosa: la perforazione avviene di solito a livello delle articolazioni, dove la parete dell’insetto è, per ovvie ragioni, più sottile e malleabile. Una volta aperta la strada, gli altri enzimi prodotti dalla pianta, proteasi, esterasi, fosfatasi, ribonucleasi, sommati alle amilasi, si occupano di digerire le parti molli all’interno dell’insetto in maniera non molto dissimile da quanto fanno la maggior parte dei ragni.

Dai fori prodotti dalle amilasi i liquami digeriti escono all’esterno della preda e vengono assorbiti dalla parete della trappola. Lo scheletro chitinoso non è quindi digerito dalla pianta e a fine digestione, che dura un tempo variabile da 1 settimana a 20 giorni, lo ritroviamo quasi intatto. Fanno eccezione alcune Nepenthes, che sono in grado di produrre anche acido cloridrico, anche se a bassissima concentrazione Molare, e sono quindi in grado di digerire non solo lo scheletro chitinoso degli insetti ma addirittura interi animali (in natura sono stati ritrovati resti quasi completamente digeriti di uccelli, rane, lucertole e piccoli roditori….ovviamente la digestione di questi animali dura diversi mesi).

Chi invece si affida ai batteri simbionti fa in modo da garantire loro condizioni ideali per la proliferazione: difatti queste piante fanno sempre in modo di accumulare acqua piovana all’interno dei loro ascidi, la darligntonia invece produce questa acqua in maniera autonoma, secernendola dalle pareti interne degli ascidi. Questi batteri simbionti digeriranno e si nutriranno della preda, mentre la pianta si limiterà ad assorbire le sostanze disciolte in acqua.

La stragrande maggioranza delle piante carnivore sono piante perenni, questo significa che, se ben coltivate, potenzialmente possono vivere in eterno, anche se ne esiste qualcuna annuale. La loro riproduzione in natura avviene per lo più tramite seme ma, in coltivazione, abbiamo la possibilità di scegliere, in base al genere, anche vie di riproduzione asessuata, che concerne tutti i vari tipi di talea, divisione di stoloni, di tuberi oppure di rizomi.

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La distribuzione delle piante carnivore non è ovviamente limitata alle zone tropicali, come si potrebbe pensare, ma è pressoché ubiquitaria: troviamo piante carnivore in quasi ogni angolo del mondo, compresa l’Italia.

Queste piante sono adattate, come già detto, a vivere in condizioni estreme; quindi paradossalmente non sono competitive in ambienti dove qualsiasi normale pianta prolifererebbe senza problemi.

Dott. Gianluigi Andrea Piegari per ATA-PC Italia